domenica 18 settembre 2011

SEMINARIO la medicina delle piante...Sadali....

PROGRAMMA:
Sarà realizzata una piccola esposizione di alcune essenze spontannee e coltivate

Proiezione filmato

*Etnobotanica ed etnomedicina...due scienze che indagano antichi saperi
*Figure e ruoli nelle pratiche di cura del passato
*Ruolo nel passato e legislazione odierna
*Medicina popolare sarda e confronto con gli altri popoli
*Erbe spontanee nell'alimentazione "che cura"
*La ritualità nella cura (nascita, morte) nella tradizione popolare sarda
*Pratiche di cura empiriche tradizionali con piante coltivate e piante spontanee...preparazioni e usi

DIBATTITO

domenica 19 giugno 2011

Programma Seminario Medicina popolare ed Etnobotanica.. presso il CIF a Nuoro...


















Domani , lunedì 20 giugno, presso la sede del CIF (Centro Italiano Femminile), in piazza Veneto, 5 ore 16:00, si svolgerà con la presenza delle due autrici di S'arremediu Antigu Graziella Cuga e Anna Lisa Cuccui il seminario rispettivamente di Medicina popolare ed Etnobotanica, le due autrici tratteranno alcuni argomenti inseriti in un altro saggio: Fizzas de Luna. Antiche esperienze di cura delle contadine di Sardegna. in fase di ultimazione uscirà il prossimo autunno!

PROGRAMMA:
INTERVENTO RAPPRESENTANTE DEL CENTRO ITALIANO FEMMINILE SEZIONE DI NUORO

INTERVENTO A.L. CUCCUI
*Chi sono le fizzas de luna e quale ruolo avevano nella società alcune di esse
*Effetto Placebo nelle pratiche di cura popolari del passato
*Etnobotanica sarda e confronto con gli altri popoli
*Erbe spontanee nell'alimentazione "che cura"
*La ritualità nella cura (nascita, morte) nella tradizione popolare sarda

INTERVENTO G. CUGA
*Introduzione alle pratiche empiriche tradizionali
*Piante coltivate e proprietà e usi nella tradizione popolare del Sarda
*Piante spontanee (preparazioni e usi)

DIBATTITO

lunedì 13 giugno 2011

LE ERBE DEL SOLSTIZIO D'ESTATE


Il 25 giugno ore 18:00 presso i locali dell’ex-Montegranatico parteciperò in qualità di relatrice ospite dell'Associazione Culturale “L’Isola delle Janas” e del Comune di Sanluri.

RIASSUNTO INTERVENTO:
Gli studi in Etnobotanica e il tessuto sociale e culturale che ha formato la mia persona mi ha dato l'occasione di approfondire ad oggi questa tematica e riscoprire in questo modo le nostre origini.
La cultura contadina del passato era incentrata in una serie di consuetudini e attività che oggi vengono ad atenuarsi e in certi casi a modificarsi o addirittura a mancare!
Il susseguirsi delle stagioni in particolare segnava e segna tutt'oggi la sopravvivenza dei popoli e da qui le famose comemorazioni stagionali rituali dell'antico culto agrario dapprima pagano e poi cristianizzato con l'avvento del cristianesimo, ne è un esempio la tradizionale notte di S. Giovanni....
La natura di queste donne contadine(Fizzas de Luna) potremmo definirla alchimistica, visto che erano detentrici di conoscenze empiriche frutto di consuetudini ed insegnamenti generazionali.
Oggi la pratica della medicina popolare rischia di estinguersi, vige attualmente una legislazione comunitaria e nazionale che pone dei limiti a e penali molto pesanti alla pratiche fitoterapiche etniche e tradizionali.
Dall'altra parte esistono altresì soggetti che con false o non corrette pratiche di cura tradizionale mettono a rischio non solo la salute umana ma in certi casi anche la dignità altrui!
Durante le cerebrazioni si depurava il corpo e la mente e nei rituali cerebrativi rientrava l'uso di piante alimurgiche, ovvero erbe spontanee che non solo erano curative ma diventavano pietanze e quindi cibo!
Ricordiamo che esistono grandi rischi se non si è esperti nella raccolta e nella qualità ambientale delle erbe officinali, ma anche nelle preparazioni e dosaggi!

MAGGIORI INFO SUL PROGRAMMA:

Coordina i lavori Valentina Lisci
- Giampaolo Marcialis, Giornalista, “L’eredità della tradizione erboristica nei saperi femminili”
- Annalisa Cuccui, Dott.ssa di Ricerca Ambientale, “Antiche conoscenze fitoterapiche delle contadine in Sardegna”
-Simone Congia, Tecnologo Alimentare, “Le erbe del solstizio d’estate tra leggende e tradizioni”
Dibattito e chiusura dei lavori

Nel corso della serata sarà presente la Mostra di Fitoalimurgia “Le Erbe Spontanee a Tavola”

domenica 17 aprile 2011

Raccolta delle piante officinali e notte magica di San Giovanni!

Nel Logudoro erano molto ricercate: l’Erba di San Giovanni, il Caprifico, l’Artemisia, la Ruta. Nel Nuorese le erbe ricercate in questa notte erano: la Santoreggia, la Camomilla, lo Stramonio, il Caprifoglio, la Scabbiosa, la Reseda, la Verrucaria, la Scrofolaria, la Cincicina, la Genziana, la Calcatreppola, l’Asteregia, l’Asfodelo, la Cannapicchia, il Giunco, il Rosmarino, lo Sparto, il Verbasco, la Centaura . Ad Arbus per San Giovanni era ricercata la Biondella o Centaura minore. A Nuoro, la sera del vespro di San Giovanni Battista si usava raccogliere in modo particolare il Verbasco, l’Erba di San Giovanni, lo Scacciadiavoli e la Canfora selvatica e generalmente la raccolta avveniva la sera del vespro o la notte di San Giovanni, ad Arbus e Pozzomaggiore avveniva a mezzanotte, nel Nuorese in genere avveniva verso l’alba del giorno di San Giovanni Battista, prima che i raggi solari apparsi all’orizzonte asciugassero la rugiada, questa condizione deriva dall’idea di battesimo che il Santo diede a Gesù Cristo servendosi delle acque del Giordano. Comunque nel Nuorese e nelle altre località, la raccolta avveniva indifferentemente, sia all’alba che la notte e la sera. Questa notte non era solamente la più propizia per la raccolta delle erbe medicinali, ma anche quella in cui la tradizione impresse la credenza che le erbe medicinali acquistassero il massimo dell’efficacia per la perfetta composizione dei principi attivi che il Santo conferiva loro. Ora è da sfatare che le piante venissero raccolte tutte in questa notte o sera, fatto sta che il solstizio d'estate rappresentava un momento molto importante nel mondo contadino. La memoria riporta a oggi che in tali giorni come nel resto delle quattro stagioni venivano celebrati nel culto agrario le quattro Tempora. Nel rito romano sono quattro distinti gruppi di giorni, originariamente legati alla santificazione del tempo nelle quattro stagioni, e successivamente destinati a invocare e ringraziare la provvidenza divina per i frutti della terra e per il lavoro dell'uomo, in realtà pare abbiano origini pagane celtiche! Oltre la preghiera e la riflessione tali giorni erano anche caratterizzati dal digiuno durante i quali si assumevano piante spontanee a uso alimentare che aiutavano a depurare il corpo e lo spirito, tutte officinali. A ogni singola stagione corrispondeva uno solo dei suddetti quattro distinti gruppi di giorni, e ciascuna delle quattro tempora si componeva del mercoledì, venerdì e sabato di una stessa settimana. Per la primavera si chiamavano Reminiscere (vanno calcoati ogni anno il 16-18-19 marzo 2011), estate Trinitatis (15-17-18 giugno 2011), autunno Crucis (14-16-17 settembre 2011) e inverno Luciae (14-16-17 dicembre 2011). Questi periodi di digiuno sono documentati per la prima volta negli scritti di San Filastrio, vescovo di Brescia (387 d. C.). In realtà il tempo balsamico delle piante e quindi la raccolta non si esuriva in poche ore..iniziavano invece con la tempora estiva quindi almeno una decina di giorni prima..ma si chiudeva quella notte del 24 giugno, con balli attorno ai falò a rappresentare l'apice del rito questo quantomeno in Sardegna. E da qui le storie che narravano di Streghe che in questa notte agivano in rituali magici, in realtà erano per lo più contadine che chiudevano un lungo ed estenuante rito propiziatorio accompagnato dal duro lavoro dei campi, tra il quale aveva un grosso ruolo la raccolta delle aromatiche e officinali! Inoltre la tradizione agraria antica ricorda che il passaggio della Luna sulle singole costellazioni nel mese sidèreo o lunazione (27 gg e 8 ore), determina il verificarsi di influssi specifici nelle varie porzioni delle piante e in giugno abbiamo la quarta lunazione...e le piante venivano raccolte tra il primo quarto e il plenilunio o fase di luna piena, il periodo di massimo influsso sul mondo vegetale, la temperatura e la minuta perizia di donne sapienti nel scegliere quelle meglio svilupate e adatte ai medicamenti faceva il resto! Estratto: S' ARREMEDIU ANTIGU e Anteprima Fizzas de Luna in pubblicazione Zènìa Editrice contenuto protetto da copyright).

martedì 5 aprile 2011

Antiche esperienze di cura delle contadine di Sardegna

Cadeva la notte di S. Giovanni….. Olì recava strisce di scarlatto, con i quali voleva segnare i fiori di S. Giovanni, cioè cespugli di verbasco, timo e di asfodelo da cogliere l’indomani all’alba per farne medicinali e amuleti...” (Cenere-G. Deledda).

“…nel quadro di quei prati fantastici, ove ogni stelo scintilla e canta, dove i fiori dei cardi e l’asfodelo paiono cespugli del tasso per segnarne la proprietà e cogliere all’alba i fiori per amuleti…” (Dio de’venti - G. Deledda).

Per porre rimedio ai vari mali, fisici e psichici, nel passato tutti facevano ricorso alla medicina popolare, erbe, piante, bacche e altri elementi naturali in grado di produrre beneficio. In società povere, dove la scarsità di servizi sanitari, (medici, farmacie, enti mutualistici) non consentiva di accedere facilmente alla medicina ufficiale, era tutto un tramandarsi di conoscenze su procedimenti, ricette, riti quasi magici usati a scopi terapeutici. Rimedi empirici dove reali conoscenze sulle virtù terapeutiche degli elementi naturali si mescolano con la magia e la superstizione. In questi contesti le persone provvedevano da sé, tentando di curare le malattie con erbe e preparazioni domestiche, o rivolgendosi a persone particolarmente competenti: “is meigadoras” (medicatrici), “sas praticas” (pratiche di cure) e “fizzas de luna” le contadine curatrici. Da sfatare che fossero tutte donne (anche se gli uomini difficilmente si occupavano di queste pratiche) e in possesso di conoscenze che erano prerogativa solo di pochissime. Infatti ogni comunità aveva diverse curatrici di diversa età e con diverse esperienze di cura. I rimedi empirici erano alla portata di tutti, ma venivano tramandati e scambiati di famiglia in famiglia, solo le “majarzas” (sciamane o maghe) erano capaci di associare alla conoscenza delle proprietà curative degli elementi naturali, formule magiche e riti propiziatori. La curatrice non chiedeva mai retribuzione o compenso, poiché era predestinata a questo ruolo per volere divino ricevendo in maniera gratuita “su donu” (capacità innata di prendersi cura del prossimo) e gratuitamente doveva metterlo a disposizione di tutti come se fosse per se stessa, i suoi amici o i suoi cari. Le figure della guaritrice e della curatrice erano molto importanti nella comunità, circondata dalla venerazione dovuta a queste custodi di rituali (curatrice) e formule sacre (guaritici), che dovevano restare segrete per mantenere intatta la loro efficacia. Quasi sempre all'interno della famiglia erano in prevalenza le donne a praticare questi interventi, ma tutt’oggi diversi uomini sono sopravvissuti alla storia con le loro pratiche di cura. C’è da specificare che esisteva una conoscenza diffusa su rimedi fitoterapici di base, per quanto riguarda le problematiche di salute più comuni e semplici. Ma quando non si disponeva del rimedio in famiglia, vi era sempre l'opportunità di ricorrere a terze persone esperte (per una indigestione, influenza, un foruncolo ecc..). Accanto alle erbe, c'era tutta una serie di materiali d'uso quotidiano che venivano utilizzati a scopi terapici. Sino a sessant’anni fa la società sarda era prevalentemente agropastorale e contadina, esistevano delle barriere che impedivano la diffusione delle medicina ufficiale, oggi la medicina popolare sopravvive come residuo d’identità culturale dei luoghi. Alcune ricerche condotte in Sardegna, attestano che i curatori tradizionali ancora in attività sono più di mille, e assieme alle cure empiriche sono ancora molto diffusi i riti magico - terapeutici; sono tantissime le persone che oggi ne fanno ricorso con esiti notevoli. Ogni curatrice veniva indicata con il proprio nome e cognome. Insomma veniva indicata con il nome e cognome perché era responsabile delle sue azioni e dei suoi successi o insuccessi. Parlare di medicina popolare e di fitoterapia in Sardegna rappresenta un’ardua impresa, infatti sono veramente rare le testimonianze, soprattutto scritte, sulla storia, la preparazione e l’uso di unguenti medicamentosi e di tutte le altre applicazioni che fanno parte della medicina tradizionale. Tutt’oggi tali pratiche nell’intera isola soppravvivono, perché fortemente radicate nella tradizione e cultura di numerosissimi paesi della Sardegna. Da sempre il sardo, come l’intero genere umano, si è accostato al mondo vegetale utilizzando le piante per cibarsene, curarsi, abbellirsi e compiere pratiche religiose o addirittura magiche a partire dal periodo Pre - Nuragico. Nella terra di Sardegna in modo particolare per le sue antichissime tradizioni, sopravvissute sino ai giorni nostri, si evince la mentalità che si manifestava nelle civiltà arcaiche, quella del sacro. La medicina veniva considerata come una magia, in cui il simbolismo occupava quotidianamente un posto importante. E’ in queste pratiche tradizionali che trova fondamento la “Psicosomatica”: i “medici”, (che in realtà erano i saggi della comunità), curavano contemporaneamente la psiche e il corpo. Questa branca della medicina analizzava l’uomo nella sua globalità, mettendo in evidenza l’equilibrio fra cosmo e genere umano. La medicina antica era vera scienza proprio perché sacra, l’attuale situazione porta ad accantonare tali pratiche, almeno per quanto riguarda l’ambito isolano, considerate talvolta pratiche inutili e comunque sorpassate. Questo accade soprattutto nei giovani, mentre è ancora vivo il ricordo negli adulti e gli anziani che narrano storie di guarigioni impossibili con l’uso di unguenti, preparati, e tante altre tipologie di applicazioni fitoterapiche, mistiche e di altra natura, nonché del la bravura delle comari che sapientemente riuscivano a rimettere a posto ossa, sanare slogature, lussazioni e districare “nervi accavallati”. Si parla di una realtà non tanto remota, solo sessanta anni fa si ricorreva alle erbe, perché le medicine erano rare e costose, il medico veniva chiamato spesso per curare la malaria che era la malattia più diffusa, non sempre esisteva un medico per centro abitato, ed era anche difficile arrivare alle farmacie, introvabili nell’ambito regionale antico, e comunque scarseggiavano i mezzi di trasporto. Quindi la stessa realtà sociale: povertà, mancanza di personale medico, farmacie difficilmente raggiungibili, spingeva il popolo sardo a curare gran parte dei disturbi di salute con le erbe e le conoscenze dei saggi della comunità. Sullo sfondo di tale scenario è fondamentale precisare che comunque ogni comunità, e all’interno di essa, i preposti, avevano un metodo o una tecnica personale nella scelta e nella preparazione di erbe e piante. E’ impensabile infatti parlare della medicina tradizionale sarda, sarebbe più idoneo parlare di medicine popolari nelle varie località della Sardegna. Nella cultura tradizionale sarda il termine “malattia” era usato ben poco, veniva considerata negativamente ogni forma di alterazione della realtà naturale. La molteplicità degli influssi hanno portato i sardi a difendere il patrimonio delle proprie tradizioni anche in materia di salute e di malattie. La medicina tradizionale era necessariamente empirica ed associata ad attività allora ben lontane dal rigore scientifico, mentre oggi si studia l'etnobotanca e la fitoterapia tradizonale sarda è oggeto d'interesse scientifico. Le malattie più frequenti erano: peste, vaiolo, dissenteria, tifo, tisi polmonare, malaria, lebbra e abusi di sottrazioni sanguigne: era infatti diffuso il convincimento che i salassi fossero utili sia per curare che per prevenire numerose malattie. (Estratto: S' ARREMEDIU ANTIGU e Fizzas de Luna in pubblicazione Zènìa Editrice contenuto protetto da copyright).

sabato 12 marzo 2011

Il Crescione..una pianta "buona" per l'uomo e per l'ambiente!

Nasturtium officinalis L. -Cruciferae

Inglese: garden cress; Francese: Cresson alénois ; Spagnolo: mastuerzo; Tedesco: gartenkresse.


Noto anche come Nasturzio, è una pianta della famiglia delle crocifere, che vive immersa in acqua con gran parte del fusto cresce spontaneamente lungo acque chiare e poco profonde, (correnti) nei fiumi e sorgenti montani.


Il suo nome scientifico deriva dal latino nasustortus che significa "naso storto": a causa del suo odore molto pungente.
Pianta erbacea acquatica perenne, strisciante, appartenente alla famiglia delle Crucifere. Presenta radice fascicolata e fusto cavo privo di peluria. Le foglie sono pennatosette composte da 5-7 foglioline ovali o tonde, margini interi o dentellati di cui la terminale è la più grossa. I fiori sono piccoli, bianchi, a quattro petali riuniti in grappoli sommitali. Il frutto è una siliqua, contenente tanti semini giallo-rossicci che germinano in pochissimi giorni.
Costituenti principali del crescione:
•glucosidi solfotiocianici (gluconasturzina, myrosina)
•iodio: 200-500 mcg/kg allo stato fresco
•vitamine A, B l , B2 e C
•sali minerali (ferro)

Se consumato fresco è ricco di composti di olio di senape, amari e tannini, betacarotene, potassio, calcio e ferro.

Se consumato crudo, in alcuni soggetti può provocare cistalgia, anche se transitoria, dovuta forse all'azione irritante del composto solfocianico si può ovviare con la cottura .

Impiego terapeutico del crescione (diuretico, depurativo, balsamico, stimolante):

  • forme bronchiali croniche (contenuto in glicosidi solfotiocianici può modificare favorevolmente le secrezioni bronchiali ove risulta favorita l'espettorazione -Ippocrate);


  • anemie (contenuto in ferro e in altri minerali, quali rame, zinco, manganese);


  • alopecìa (il succo fresco frizioni sul cuoio cappelluto);


  • anti eczema;


  • depurativo (oli di senape, depurano il sangue, stimolano il metabolismo, la secrezione biliare e la funzionalità dei reni e del fegato);


  • "antibiotico vegetale" ;

Il crescione ha proprietà bechiche, depurative, diuretiche, espettoranti, rubefacenti e vitaminizzanti. Particolarmente indicato in molti regimi dietetici è conosciuto anche come efficace stimolante per la circolazione sanguigna.

Curiosità. Conosciuto e consumato dai persiani. Recitava Plinio :"Nasturtium nomen accepit a narium tormento" .
Secondo i Romani aveva il potere di influire sul carattere delle persone rendendole più affettuose. I Greci la utilizzavano nei loro elisir d'amore. Già nel Settecento li vennero riconosciute proprietà depurative del sangue, stomachiche, espettoranti e diuretiche.

Raccolta. La pianta va raccolta da aprile a maggio scegliendo i rametti non fioriti e prestando attenzione alla qualità e alla pulizia delle acque in cui vive, va utilizzato fresco (essiccato o cotto perde gran parte delle sue proprietà officinali).

Nel Sulcis, in passato veniva utilizzato in crudo per depurare il sangue, riattivare la circolazione e contro le infiammazioni alle vie urinarie.

Nel Nuorese veniva utilzzato per combattere malaria (in crudo) contro le irritazioni cutanee (ridotto in succo fresco) unito all'olio di mandorle amare.

Nelle metodiche d'Indagine ambientale, rientra nell'elenco delle specie per il calcolo dell'Indice Macrofitico (IBMR), dal momento che risulta essere sesibile è in grado (assieme ad altre specie) di definire il grado di trofia e quindi la qualità biologica delle acque!

(Estratto: Fizzas de Luna, Antiche esperienze di cura delle contadine di Sardegna, protetto da copyright, in pubblicazione Zènìa Editrice).

giovedì 24 febbraio 2011

Le piante aromatiche e officinali e l'inverno....raccolta e uso

La memoria del freddo nelle piante aromatiche e officinali garantisce l'impossibilità delle stesse di fiorire d'inverno...(ci sono delle eccezioni) sarebbe un grave spreco di energie.
Come funzioni questa memoria molecolare resta un mistero..si sa che risiede in un gene specifico....ma come agisce la quiescenza sull'uso delle piante?
La tradizione popolare affida a una data quasi magica (24 giugno) la raccolta di tutte le piante officinali...ma non per tutte vale questo periodo per avere i prncipi attivi al top, e quindi il tempo balsamico! Ogni pianta ha il suo tempo balsamico legato alla stagione, alle fasi lunari...e qualcuno tiene conto anche della lunghezza del giorno.
La maggior parte delle aromatiche perdono addirittura fragranza in questo periodo: salvia, alloro, rosmarino e altre. Alcune sono presenti tipicamente durante l'inverno: erba cipollina e altre assenti: alcune varietà di mentha, zafferano ad esempio. Certo conta molto il clima e quindi la rigidità dell'inverno e la tipologia di precipitazione.
Da ricordare infine che alcune piante non vanno assolutamente utilizzate crude (es: tarassaco) e alcune nemmeno cotte (es: borragine) durante il rispettivo periodo balsamico! (estratto: Fizzas de Luna, Antiche esperienze di cura delle contadine di Sardegna, protetto da copyright, in pubblicazione Zènìa Editrice).

venerdì 11 febbraio 2011

È tempo di Borragine…verifica agli usi nella tradizione popolare sarda


Appartiene alla famiglia delle Boraginaceae la specie: Borago officinalis L., pianta annuale originaria del bacino del Mediterraneo e dal Nord Africa, è presente in molte parti del Nord America. In Italia è molto comune, spontanea dalla pianura fino a 1.000 m. Utilizzata nell’etnobotanica Sarda come alimento curativo e in cataplasmi per problemi alla pelle, i fiori in piccole dosi in tisane contro la tosse…

Etimologia:
Si suppone che derivi dall'arabo "abou = padre" e da "rash = sudore" cioè "padre del sudore" (proprietà sudorifere). Altri suppongono che derivi dal latino "borra = tessuto di lana ruvida" per via dei peli che ricoprono tutta la pianta. Alcuni sostengono che sia derivato dal celtico "barrach = uomo coraggioso" in quanto i guerrieri di questo antico popolo erano soliti bere il vino con la borragine prima di una battaglia in quanto credevano che desse coraggio, come pure nelle popolazioni celtiche ("borrach" = "coraggio").Gli antichi Greci invece la usavano per curare i mal di testa da sbronza!
La borragine era tradizionalmente usata per decorare le case per i matrimoni. Il nome gallese per la borragine, "llawenlys", significa infatti "erba della contentezza".

Erbacea annuale con fusti eretti, ramificati, alti fino a 50 cm; foglie opposte, spicciolate ovato-bislunghe, a volte bollose. I fiori (azurro- violacei) sono riuniti in spighe suddivise in singoli verticilli. Fiorisce da giugno ad agosto.

Principi attivi :
calcio, potassio, tannini, acido gammalinoleico, acidi omega-6, acido palmitico e fitoestrogeni (regolano la funzione ormonale).


Proprietà :
• Possiede attività antiipertensive.
• Facilita l'espulsione della secrezione bronchiale e cura della febbre.
• Diuretica e depurativa
Contro gli eczemi e infiammazioni cutane.

Occorre fare attenzione al contenuto, sia pur modesto, di alcaloidi pirrolizidinici. L'intossicazione provocata dagli alcaloidi pirrolizidinici è una rara tossicosi causata dal consumo di vegetali contenenti tali alcaloidi ma l'olio di semi di borragine ne è privo. Non usare in gravidanza e in allattamento (arriva conferma anche dalla fitoterapia tradizionale).
L’impiego dell'olio estratto a freddo dai semi è molto utile in particolare nella prevenzione e terapia della dermatite atopica, ma anche come coadiuvante nella cura di varie malattie infiammatorie croniche, sia intestinali che del connettivo (Fabio Firenzuoli Direttore del Centro di Medicina Naturale, Ospedale S. Giuseppe, Empoli).
Il Ministero della salute con un recente decreto ha stabilito che fiore, foglia e pianta erbacea con fiori della Borrago officinalis L. sono da considerare degli estratti vegetali non ammessi per la produzione di integratori alimentari.
Io stessa mi cibo saltuariamente (max due volte al mese) di borragine, ma solo nel periodo tardo autunnale e invernale, quando le foglie sono tenere e la peluria è meno urticante, la faccio bollire senza sale in acqua di fonte, e la consumo con un filo d'olio oppure aggiungo delle uova biologiche e faccio gratinare senza olio e senza frittura...non consumo in insalate fiori e già a partire da fine marzo interrompo l'uso. La raccolgo in terreni nel centro della Sardegna Ovodda a circa 800/900 m in terreni ricchi d'acqua e ben soleggiati, dove viene praticata agricoltura biologica, non adibiti a pascolo e in condizioni naturali, ambientali e igienici ottimali. Non mi risultano ad oggi effetti tossici né su di me né sui miei conoscenti che utilizzano questa pianta in questo modo da generazioni... addirittura di centenari dalla salute di "ferro".
Solo l’accumulo costante e massiccio di alcaloidi ha effetti negativi sull’organismo. Probabilmente il tempo di raccolta, il metodo di preparazione, le caratteristiche del terreno, umidità del suolo, illuminazione, posizione geografica, ed eventuale sottospecie o endemismi, possono influire sulla concentrazione degli alcaloidi pirrolizidinici e ridurre o addirittura annullarne la tossicità. Ricordiamo sempre che ogni pianta compresi gli ortaggi possono dare intolleranza e divenire tossici (ambiente inquinato), tossica superata le dosi (o per chi ha insufficienza epatica) lo è anche la rucola..per non parlare del caro prezzemolo che superando le dosi e sottoponendolo a frittura diventa velenoso e in caso di gravidanza diviene abortivo! (estratto: Fizzas de Luna, Antiche esperienze di cura delle contadine di Sardegna, protetto da copyright, in pubblicazione Zènìa Editrice).

mercoledì 2 febbraio 2011

Si fa presto a dire erbe medicinali!

"...E' fondamentale ricordare che l'uso delle erbe fa parte di una realtà molto particolare, con ritmi di vita diversi da quelli odierni e soprattutto attraverso il contatto con la natura, che ormai in pochi decenni si è stravolto!
...significa cercarle, avere tempo per farlo e le conoscenze giuste per farlo....
Questa medicina popolare è basata su un'antichissima consuetudine, perciò non chiunque può usare o consigliare preparati..senza conoscere proprietà e dosi perchè anche quelle più innoque...possono dare fenomeni di intolleranza."