domenica 17 aprile 2011

Raccolta delle piante officinali e notte magica di San Giovanni!

Nel Logudoro erano molto ricercate: l’Erba di San Giovanni, il Caprifico, l’Artemisia, la Ruta. Nel Nuorese le erbe ricercate in questa notte erano: la Santoreggia, la Camomilla, lo Stramonio, il Caprifoglio, la Scabbiosa, la Reseda, la Verrucaria, la Scrofolaria, la Cincicina, la Genziana, la Calcatreppola, l’Asteregia, l’Asfodelo, la Cannapicchia, il Giunco, il Rosmarino, lo Sparto, il Verbasco, la Centaura . Ad Arbus per San Giovanni era ricercata la Biondella o Centaura minore. A Nuoro, la sera del vespro di San Giovanni Battista si usava raccogliere in modo particolare il Verbasco, l’Erba di San Giovanni, lo Scacciadiavoli e la Canfora selvatica e generalmente la raccolta avveniva la sera del vespro o la notte di San Giovanni, ad Arbus e Pozzomaggiore avveniva a mezzanotte, nel Nuorese in genere avveniva verso l’alba del giorno di San Giovanni Battista, prima che i raggi solari apparsi all’orizzonte asciugassero la rugiada, questa condizione deriva dall’idea di battesimo che il Santo diede a Gesù Cristo servendosi delle acque del Giordano. Comunque nel Nuorese e nelle altre località, la raccolta avveniva indifferentemente, sia all’alba che la notte e la sera. Questa notte non era solamente la più propizia per la raccolta delle erbe medicinali, ma anche quella in cui la tradizione impresse la credenza che le erbe medicinali acquistassero il massimo dell’efficacia per la perfetta composizione dei principi attivi che il Santo conferiva loro. Ora è da sfatare che le piante venissero raccolte tutte in questa notte o sera, fatto sta che il solstizio d'estate rappresentava un momento molto importante nel mondo contadino. La memoria riporta a oggi che in tali giorni come nel resto delle quattro stagioni venivano celebrati nel culto agrario le quattro Tempora. Nel rito romano sono quattro distinti gruppi di giorni, originariamente legati alla santificazione del tempo nelle quattro stagioni, e successivamente destinati a invocare e ringraziare la provvidenza divina per i frutti della terra e per il lavoro dell'uomo, in realtà pare abbiano origini pagane celtiche! Oltre la preghiera e la riflessione tali giorni erano anche caratterizzati dal digiuno durante i quali si assumevano piante spontanee a uso alimentare che aiutavano a depurare il corpo e lo spirito, tutte officinali. A ogni singola stagione corrispondeva uno solo dei suddetti quattro distinti gruppi di giorni, e ciascuna delle quattro tempora si componeva del mercoledì, venerdì e sabato di una stessa settimana. Per la primavera si chiamavano Reminiscere (vanno calcoati ogni anno il 16-18-19 marzo 2011), estate Trinitatis (15-17-18 giugno 2011), autunno Crucis (14-16-17 settembre 2011) e inverno Luciae (14-16-17 dicembre 2011). Questi periodi di digiuno sono documentati per la prima volta negli scritti di San Filastrio, vescovo di Brescia (387 d. C.). In realtà il tempo balsamico delle piante e quindi la raccolta non si esuriva in poche ore..iniziavano invece con la tempora estiva quindi almeno una decina di giorni prima..ma si chiudeva quella notte del 24 giugno, con balli attorno ai falò a rappresentare l'apice del rito questo quantomeno in Sardegna. E da qui le storie che narravano di Streghe che in questa notte agivano in rituali magici, in realtà erano per lo più contadine che chiudevano un lungo ed estenuante rito propiziatorio accompagnato dal duro lavoro dei campi, tra il quale aveva un grosso ruolo la raccolta delle aromatiche e officinali! Inoltre la tradizione agraria antica ricorda che il passaggio della Luna sulle singole costellazioni nel mese sidèreo o lunazione (27 gg e 8 ore), determina il verificarsi di influssi specifici nelle varie porzioni delle piante e in giugno abbiamo la quarta lunazione...e le piante venivano raccolte tra il primo quarto e il plenilunio o fase di luna piena, il periodo di massimo influsso sul mondo vegetale, la temperatura e la minuta perizia di donne sapienti nel scegliere quelle meglio svilupate e adatte ai medicamenti faceva il resto! Estratto: S' ARREMEDIU ANTIGU e Anteprima Fizzas de Luna in pubblicazione Zènìa Editrice contenuto protetto da copyright).

martedì 5 aprile 2011

Antiche esperienze di cura delle contadine di Sardegna

Cadeva la notte di S. Giovanni….. Olì recava strisce di scarlatto, con i quali voleva segnare i fiori di S. Giovanni, cioè cespugli di verbasco, timo e di asfodelo da cogliere l’indomani all’alba per farne medicinali e amuleti...” (Cenere-G. Deledda).

“…nel quadro di quei prati fantastici, ove ogni stelo scintilla e canta, dove i fiori dei cardi e l’asfodelo paiono cespugli del tasso per segnarne la proprietà e cogliere all’alba i fiori per amuleti…” (Dio de’venti - G. Deledda).

Per porre rimedio ai vari mali, fisici e psichici, nel passato tutti facevano ricorso alla medicina popolare, erbe, piante, bacche e altri elementi naturali in grado di produrre beneficio. In società povere, dove la scarsità di servizi sanitari, (medici, farmacie, enti mutualistici) non consentiva di accedere facilmente alla medicina ufficiale, era tutto un tramandarsi di conoscenze su procedimenti, ricette, riti quasi magici usati a scopi terapeutici. Rimedi empirici dove reali conoscenze sulle virtù terapeutiche degli elementi naturali si mescolano con la magia e la superstizione. In questi contesti le persone provvedevano da sé, tentando di curare le malattie con erbe e preparazioni domestiche, o rivolgendosi a persone particolarmente competenti: “is meigadoras” (medicatrici), “sas praticas” (pratiche di cure) e “fizzas de luna” le contadine curatrici. Da sfatare che fossero tutte donne (anche se gli uomini difficilmente si occupavano di queste pratiche) e in possesso di conoscenze che erano prerogativa solo di pochissime. Infatti ogni comunità aveva diverse curatrici di diversa età e con diverse esperienze di cura. I rimedi empirici erano alla portata di tutti, ma venivano tramandati e scambiati di famiglia in famiglia, solo le “majarzas” (sciamane o maghe) erano capaci di associare alla conoscenza delle proprietà curative degli elementi naturali, formule magiche e riti propiziatori. La curatrice non chiedeva mai retribuzione o compenso, poiché era predestinata a questo ruolo per volere divino ricevendo in maniera gratuita “su donu” (capacità innata di prendersi cura del prossimo) e gratuitamente doveva metterlo a disposizione di tutti come se fosse per se stessa, i suoi amici o i suoi cari. Le figure della guaritrice e della curatrice erano molto importanti nella comunità, circondata dalla venerazione dovuta a queste custodi di rituali (curatrice) e formule sacre (guaritici), che dovevano restare segrete per mantenere intatta la loro efficacia. Quasi sempre all'interno della famiglia erano in prevalenza le donne a praticare questi interventi, ma tutt’oggi diversi uomini sono sopravvissuti alla storia con le loro pratiche di cura. C’è da specificare che esisteva una conoscenza diffusa su rimedi fitoterapici di base, per quanto riguarda le problematiche di salute più comuni e semplici. Ma quando non si disponeva del rimedio in famiglia, vi era sempre l'opportunità di ricorrere a terze persone esperte (per una indigestione, influenza, un foruncolo ecc..). Accanto alle erbe, c'era tutta una serie di materiali d'uso quotidiano che venivano utilizzati a scopi terapici. Sino a sessant’anni fa la società sarda era prevalentemente agropastorale e contadina, esistevano delle barriere che impedivano la diffusione delle medicina ufficiale, oggi la medicina popolare sopravvive come residuo d’identità culturale dei luoghi. Alcune ricerche condotte in Sardegna, attestano che i curatori tradizionali ancora in attività sono più di mille, e assieme alle cure empiriche sono ancora molto diffusi i riti magico - terapeutici; sono tantissime le persone che oggi ne fanno ricorso con esiti notevoli. Ogni curatrice veniva indicata con il proprio nome e cognome. Insomma veniva indicata con il nome e cognome perché era responsabile delle sue azioni e dei suoi successi o insuccessi. Parlare di medicina popolare e di fitoterapia in Sardegna rappresenta un’ardua impresa, infatti sono veramente rare le testimonianze, soprattutto scritte, sulla storia, la preparazione e l’uso di unguenti medicamentosi e di tutte le altre applicazioni che fanno parte della medicina tradizionale. Tutt’oggi tali pratiche nell’intera isola soppravvivono, perché fortemente radicate nella tradizione e cultura di numerosissimi paesi della Sardegna. Da sempre il sardo, come l’intero genere umano, si è accostato al mondo vegetale utilizzando le piante per cibarsene, curarsi, abbellirsi e compiere pratiche religiose o addirittura magiche a partire dal periodo Pre - Nuragico. Nella terra di Sardegna in modo particolare per le sue antichissime tradizioni, sopravvissute sino ai giorni nostri, si evince la mentalità che si manifestava nelle civiltà arcaiche, quella del sacro. La medicina veniva considerata come una magia, in cui il simbolismo occupava quotidianamente un posto importante. E’ in queste pratiche tradizionali che trova fondamento la “Psicosomatica”: i “medici”, (che in realtà erano i saggi della comunità), curavano contemporaneamente la psiche e il corpo. Questa branca della medicina analizzava l’uomo nella sua globalità, mettendo in evidenza l’equilibrio fra cosmo e genere umano. La medicina antica era vera scienza proprio perché sacra, l’attuale situazione porta ad accantonare tali pratiche, almeno per quanto riguarda l’ambito isolano, considerate talvolta pratiche inutili e comunque sorpassate. Questo accade soprattutto nei giovani, mentre è ancora vivo il ricordo negli adulti e gli anziani che narrano storie di guarigioni impossibili con l’uso di unguenti, preparati, e tante altre tipologie di applicazioni fitoterapiche, mistiche e di altra natura, nonché del la bravura delle comari che sapientemente riuscivano a rimettere a posto ossa, sanare slogature, lussazioni e districare “nervi accavallati”. Si parla di una realtà non tanto remota, solo sessanta anni fa si ricorreva alle erbe, perché le medicine erano rare e costose, il medico veniva chiamato spesso per curare la malaria che era la malattia più diffusa, non sempre esisteva un medico per centro abitato, ed era anche difficile arrivare alle farmacie, introvabili nell’ambito regionale antico, e comunque scarseggiavano i mezzi di trasporto. Quindi la stessa realtà sociale: povertà, mancanza di personale medico, farmacie difficilmente raggiungibili, spingeva il popolo sardo a curare gran parte dei disturbi di salute con le erbe e le conoscenze dei saggi della comunità. Sullo sfondo di tale scenario è fondamentale precisare che comunque ogni comunità, e all’interno di essa, i preposti, avevano un metodo o una tecnica personale nella scelta e nella preparazione di erbe e piante. E’ impensabile infatti parlare della medicina tradizionale sarda, sarebbe più idoneo parlare di medicine popolari nelle varie località della Sardegna. Nella cultura tradizionale sarda il termine “malattia” era usato ben poco, veniva considerata negativamente ogni forma di alterazione della realtà naturale. La molteplicità degli influssi hanno portato i sardi a difendere il patrimonio delle proprie tradizioni anche in materia di salute e di malattie. La medicina tradizionale era necessariamente empirica ed associata ad attività allora ben lontane dal rigore scientifico, mentre oggi si studia l'etnobotanca e la fitoterapia tradizonale sarda è oggeto d'interesse scientifico. Le malattie più frequenti erano: peste, vaiolo, dissenteria, tifo, tisi polmonare, malaria, lebbra e abusi di sottrazioni sanguigne: era infatti diffuso il convincimento che i salassi fossero utili sia per curare che per prevenire numerose malattie. (Estratto: S' ARREMEDIU ANTIGU e Fizzas de Luna in pubblicazione Zènìa Editrice contenuto protetto da copyright).